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- Conflitto e Mediazione: le due facce della stessa medaglia.


Conflitto e Mediazione: le due facce della stessa medaglia.

di Marcello Severoni

“ Gli uomini, da sempre, non possono vivere senza relazioni sociali ”, come scritto da Adam Ferguson (1767).
I gruppi in cui vivono gli uomini sono stati sempre caratterizzati da una forma, anche se embrionale, di solidarietà e di organizzazione, da “ una mutua interdipendenza fra i membri ”, e, lo stesso autore descrive il conflitto come un fenomeno sociale e individuale fondamentale per la formazione di una società e di un individuo.
Inoltre, aggiunge che il conflitto è un elemento dinamico di ogni progresso storico-sociale, e come da una celebre definizione di Aristotele “ l’uomo è un animale sociale ”.
Da sempre, la storia insegna che l’umanità è stata ed è costellata dal conflitto.
Ma qual è il valore intrinseco del termine conflitto? Il conflitto è un termine che nasce con l’uomo ed è parte integrante di qualsiasi società, comunità e tribù.
Scorgiamo che non esiste società senza di esso. Secondo E. Durkheim “ una società senza conflitto è una società anomala ”. Un altro grande studioso come Weber definisce il conflitto “una relazione sociale che emerge quando l’agire è orientato all’affermazione del proprio valore e dei propri interessi “ ; infine, G. Simmel, nella sua Soziologie (1908), non adotta il termine Konflikt, ma quello di Streit e di Kampf. Il conflitto secondo Simmel “ ha una valenza tutt’altro che patologica ed è inteso come una delle forme di associazione che governano il processo interattivo”.
L’esistenza del conflitto permette ad una società di dettare regole e norme atte a permettere una civile convivenza, ovvero, il passaggio della società dallo stato di natura allo stato sociale.
Dobbiamo al conflitto la capacità di trovare quelle soluzioni che ci permettono di attivare le dinamiche creative che determinano l’ampliarsi delle nostre azioni e interazioni con gli altri.
Ciò dimostra che qualsiasi conflitto risulta mediabile.
Andando ora ad esaminare la mediazione, possiamo dire che la sua funzione non si limita alla risoluzione del conflitto, ma trasforma lo stesso in una fattiva ricostruzione della rete relazionale.
La mediazione parte da una concettualizzazione filosofica secondo la quale non basta mettere d’accordo le parti confliggenti, ma occorre ricercarne la causa che la determina. Ricercare la causa è fondamentale per eliminare il disagio interiore, eliminazione che permette una rivisitazione del proprio Sé, determinando così una riorganizzazione interiore e di vita, che soddisfi i propri bisogni.
Essere in conflitto con se stessi e con gli altri, significa spesso difendere il proprio ruolo sociale e dire “io ci sono”, e nello stesso tempo non comprendere le diversità degli altri e le proprie carenze comunicative. Come ci rimanda la cultura dei classici, l’uomo deve imparare a vivere per essere sapiente nel relazionarsi con gli altri. In una lettera inviata a Lucillo, Seneca così scrive: “ non dobbiamo cercare di vivere a lungo, ma di vivere bene, giacché il vivere a lungo dipende dal destino, il vivere bene dall’animo”.
“La vita è lunga se piena; diviene piena quando l’animo è riuscito a procurarsi il suo bene e a conquistare il dominio su se stesso”.
Concepire la mediazione come un percorso esclusivamente tecnico, fatto di strumenti per risolvere il conflitto è miope e fuorviante, perché riduce la mediazione ad un termine che la stessa non conosce e riconosce come proprio, ovvero il “compromesso”.
La mediazione rappresenta le nostre esperienze, che sono un processo concettuale e filosofico, ed è dalla nostra filosofia di vita che origina il concetto di mediazione. In termini generali, la mediazione assume il significato di una attività che ci consente di superare quell’atteggiamento del nostro pensare che si limita a registrare, mediante un simbolismo comune, le nostre esperienze, come è tipico dell’uomo.
La mediazione ci permette di andare al di là del simbolismo comune, per relazionarci con gli altri e con noi stessi in termini di comprensione e tolleranza.
Nei rapporti interpersonali, la conoscenza reciproca deve superare gli ostacoli simbolici, per arrivare a riconoscere l’altro, come altro da sé.
Levinos, Buber, Tillch sono filosofi che possono essere considerati i massimi esponenti della filosofia della mediazione. Il loro pensiero comune si basa sulla necessità di incontrare gli altri per condividere empaticamente le reciproche esperienze.
In conclusione, in queste poche righe ho cercato di spiegare come la mediazione non si riduce ad un mero percorso tecnicistico, ma rappresenta un percorso concettuale ed esperienziale nonché empatico-comunicativo per giungere a soluzione del disagio relazionale e interiore, dovuto alla presenza di bisogni strutturali e spirituali non soddisfatti.

Marcello Severoni

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