Essere mediatore familiare, tra presente e futuro
di Beatrice Mennella
La recente presentazione del DDL 735 “Pillon” (Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità) ha generato un grandissimo dibattito pubblico anche sulla Mediazione Familiare e su un profilo professionale, quello del mediatore familiare, la cui utilità sociale è stata, finora, ampiamente misconosciuta o sottovalutata e che meriterebbe un riconoscimento giuridico e un ruolo centrale nella soluzione di tutti i conflitti familiari.
Mi soffermerò sul dibattito solo per sottolinearne il valore di spinta e di stimolo, perché ha suscitato in tutti i mediatori familiari, così come in tutti gli altri addetti ai lavori, l’interesse ad approfondire l’argomento e a divulgare maggiori e migliori informazioni sul tema.
Questa spinta propulsiva ha coinvolto anche me e sono qui a offrire il mio personale contributo, che sarà, come sempre, non solo in linea con la strada che dentro di me sento giusta e che ho scelto di percorrere nella mia pratica professionale, così come nella mia vita privata, ma anche aderente con quella che è l’essenza stessa della Mediazione, con i suoi fondamenti etici ispiratori.
La Mediazione Familiare, con il suo spirito innovatore, ha rappresentato una vera e propria svolta nel cambiare il modo di affrontare le vecchie logiche conflittualistiche; tuttavia, tale principio ispiratore viene, troppo spesso, mortificato e sacrificato da informazioni e modalità rigidamente ancorate a tecnicismi obsoleti e fuorvianti e, più in generale, da un sistema culturale tradizionalista, in cui c’è tanta omologazione e poca apertura all’innovazione.
Approfondire e divulgare il tema della Mediazione Familiare non significa soltanto spiegarla, descriverla, definirla, delimitando i suoi ambiti di competenza e le precise modalità, non è questo il cuore del tema che il mediatore familiare deve affrontare e sviluppare, nella pratica professionale e nei contributi divulgativi, né tanto meno, deve preoccuparsi che i contenuti degli articoli sulla mediazione, pubblicati in rete e sulle testate giornalistiche, siano tecnicamente corretti e in linea con le varie metodologie, con gli ambiti di competenza professionale o, addirittura, con le proprie individuali idee politiche.
Il mediatore può e deve “volare” oltre tutto questo, per allargare le prospettive e per cogliere i segnali del cambiamento, declinandoli in opportunità trasformative.
Il mediatore, attraverso le parti antagoniste sulle quali lavora, ha la possibilità di mettere concretamente in campo e diffondere tutti gli strumenti trasformativi che fanno riemergere vividamente, l’inestimabile valore della libertà, lì dove stimola le parti: a impegnarsi in prima persona ad agire liberamente e responsabilmente, a creare legami nuovi e in continua evoluzione, a generare cambiamenti costruttivi e importanti trasformazioni, a rimanere liberi e indiscussi protagonisti della propria vita, senza correre il rischio che venga vincolata dai provvedimenti delle autorità competenti (servizi sociali, avvocati, magistrati, CTU, e chi più ne ha più ne metta) così come si verifica nei casi di separazione o di conflitto familiare giudiziale.
Il mediatore è un attivatore di cambiamenti e lascia un segno, con il suo intervento, proprio perché non si limita alla solita applicazione e trasmissione di contenuti specialistici, che sono insufficienti e completamente fuorvianti, quando si decide di applicarli nella pratica senza alcuno spirito critico e in maniera spersonalizzata e generalizzata.
Le informazioni sulle modalità, sul che cosa fa il mediatore familiare, su quali siano i compiti a cui deve aderire, con quali tecniche e in base a quali norme, rappresentano briglie pericolose se non accompagnate da approfondite riflessioni sul perché, sul come, sul quando, e se non vengono misurate con le specifiche attitudini personali del mediatore e sulle caratteristiche della coppia e dell’intero nucleo su cui si sta lavorando.
Un esempio tra tutti è quello della tanto propugnata neutralità del mediatore, che, a mio avviso, è, oramai, diventata uno stereotipo superato e distorcente. Una neutralità che a volte viene confusa con l’imparzialità, che resta, invece, una caratteristica determinante nell’intervento.
Che cosa significa essere neutrali?
Forse un essere umano può dare il meglio di sé, anche nella propria professione, lì dove, deliberatamente, si impegna a disinnescare la propria anima e a spegnere le proprie emozioni?
Altro che neutralità: il mediatore affina una empatia sopraffina per poter entrare in ascolto delle parti, non solo di ciò che viene esplicitamente detto ma soprattutto di ciò che non viene verbalmente espresso.
La neutralità è una briglia che non appartiene al mediatore ma a chi ha paura di non saper gestire la propria emozionalità e teme di influenzare quella degli altri o di non essere imparziale.
La neutralità è una briglia che non appartiene al mediatore, che è allenato a frequentare e ascoltare molto se stesso e non teme che possano emergere verità sommerse e represse, scatenate dalle dinamiche del caso che sta trattando.
Nessuna tecnica, nessuna modalità può essere neutrale.
Non possono esistere soluzioni preconfezionate di alcun tipo, né nelle tecniche, né nel raggiungimento degli accordi condivisi, né nelle norme che regolamentano le modalità.
Nessuna norma può essere applicata rigidamente senza avere effetti distorcenti, non può esistere una soluzione tecnica o giuridica valida e applicabile per tutti e in tutti i casi, perché non sempre tutelare i diritti equivale a tutelare i reali bisogni delle persone coinvolte.
La Mediazione Familiare rispetta tali bisogni, anzi è proprio su questi che fa leva, facendoli maieuticamente emergere. Il mediatore, grazie alla creatività empatica, alle competenze e all’esperienza, stimola le parti in conflitto per accompagnarle nel processo di trasvalutazione del conflitto stesso, facendo emergere risorse trasformative e rigenerative, necessarie affinché gli accordi condivisi non crollino alla prima sopraggiunta difficoltà.
Insomma, la neutralità è soltanto un esempio, a significare che le tecniche procedurali funzionano, solo ed esclusivamente, quando vengono adattate con cura ai singoli casi da trattare e nel pieno rispetto delle varie individualità coinvolte, quelle dei clienti ma anche quelle dei mediatori, e sempre in un “qui e ora” in costante trasformazione: un adattamento in cui occorre una continua ricalibrazione, che vada ben oltre qualsiasi binario preconfezionato.
Il mediatore rappresenta un esempio autentico e concreto di come sia realmente possibile uscire fuori dai soliti schemi concettuali dicotomici, torto o ragione, vero o falso, giusto o ingiusto, corretto o scorretto, corrente politica A o corrente politica B, tecnica C o tecnica D, metodo F o metodo G.
Il mediatore è ben consapevole di avere scelto una professione che regala, in primis a se stesso, nel ruolo di facilitatore e guida dell’intero intervento di mediazione, la libertà e la responsabilità di attivare le proprie risorse creative nella scelta delle modalità più giuste in quel momento, per quel caso specifico e per le caratteristiche individuali delle persone coinvolte. E questa consapevolezza rappresenta un suo diritto, a tutela della libera espressione della sua professionalità che nessuna briglia stretta può mortificare.
Il mediatore è un esempio vivido di cosa realmente rappresenti la cultura della mediazione, di cosa significhi abbracciare questa cultura, fino a farne un sentire profondo e autentico, un buon modo di Essere.
Il mediatore promuove e diffonde tale cultura, poiché questa consapevolezza gli appartiene così autenticamente che riesce anche a comunicarla al meglio, appassionatamente, trasmettendone il senso e il valore e accendendo negli interlocutori e lettori la stessa fiamma, la stessa luce che ha scelto di accendere in sé.
Promuovere, divulgare ed esercitare una professionalità, e questo, ovviamente, vale per la Mediazione Familiare ma, anche, per tutte le altre professioni, soprattutto per quelle dedicate alla relazione di aiuto, richiede la capacità di muoversi primariamente nella dimensione del saper Essere e non solo in quella del saper Fare.
Il mediatore sa bene che non è sufficiente studiare, frequentare corsi, fare tirocinio e supervisione, aggiornarsi, associarsi, accumulare crediti, imparare le regole del personal branding e scrivere articoli divulgativi e promozionali, ma occorre anche essere pienamente dentro a ciò che si fa e a ciò che si dice, dentro e oltre le azioni e le parole, dando il meglio di sé come persona.
È questo sentire ciò che fa la differenza, è rispettare questo sentire che rende liberi, un sentire che, in una categoria professionale come quella del mediatore familiare, costituisce un sentire comune potentissimo, generatore di autentici e importantissimi cambiamenti:
- un’occasione in primis per se stessi, per accogliere tutte le difficoltà della vita personale e professionale, senza paura e senza rabbia, ma con la gioia di chi sa che ogni difficoltà rappresenta una prova meravigliosa, una sfida da abbracciare, lo “scalino” di una vetta da scalare, un percorso da compiere, la possibilità di andare più in alto e di crescere;
- un’occasione per trasmettere anche agli altri le proprie consapevolezze, che sono conquiste professionali che hanno richiesto una preliminare, concomitante e continua crescita personale e relazionale;
- un’occasione per accendere negli interlocutori e nei lettori un desiderio, una passione, una volontà, per invogliarli ad affrontare il conflitto che stanno vivendo in un modo diverso, mai utilizzato prima, un modo trasformativo, evolutivo, che dona una straordinaria opportunità per ogni singola persona, per la coppia, per i figli, per tutto il nucleo familiare e, quindi, in grado di lasciare semi anche nel terreno brullo della cosiddetta cultura dominante, che è fondamentalmente tutta impostata sull’apologia del conformismo e sul mettere gli uni contro gli altri, lì dove non si è conformi alle regole.
Una cultura dominante che sembra inneggiare alla morte, attraverso i sempre più numerosi casi di tragedie familiari, proposti continuamente, diseducativamente e quasi morbosamente da tutti i mass media.
Una cultura dominante in cui la prepotenza, l’aggressività, la violenza verbale, psicologica, fisica, sembrano essere diventate la soluzione vincente a tutti i problemi, privati e pubblici.
Il conflitto con l’altro nasce sempre da un conflitto interiore che, poi, si espande anche all’esterno, e questo conflitto interiore è generato proprio dall’enorme difficoltà dell’essere umano di aderire a se stesso, al proprio Essere, al di là del fare, dei ruoli, dei vari condizionamenti, delle regole conformanti, dei soliti schemi strutturati che vengono proposti/propinati e che ci allontanano dalle nostre risorse interiori più preziose.
La pace è una porta che si apre soltanto da dentro e il mediatore può aiutare le persone a cercare e poi a trovare le chiavi giuste, anche attraverso le sue pubblicazioni divulgative che, volendo, possono essere create e proposte come dei veri e propri fari nel buio, illuminanti, soprattutto per chi attraversa momenti spenti, di sofferenza.
Il mediatore, facendosi rappresentante dei bisogni della “persona” e della famiglia, in primis, dei bisogni dei figli, fa emergere e porta in primo piano nuove prospettive, sgombre da sovrastrutture, da distorsioni e da retaggi dolorosi.
Il mediatore spinge in direzione di una dimensione più autentica, centrata sull’Essere, sul sentire, sulla permanenza degli affetti, sui sentimenti che non si annullano ma si trasformano e si evolvono, al di là delle impermanenti e apparenti difficoltà, generate da prospettive distorte che hanno origine da sofferenze legate al passato e non elaborate.
Il mediatore stimola prospettive nuove che possono generare la spinta propulsiva verso l’attivazione di risorse inesplorate e inespresse, per la realizzazione di tutte le potenzialità, verso la creazione di inaspettate soluzioni possibili, perché dietro apparenti confini, possono aprirsi sconfinati nuovi orizzonti.
E’ a partire da queste consapevolezze che il mediatore riesce a volare oltre i confini, oltre gli ostacoli, per sviluppare ipotesi costruttive sui possibili nuovi orizzonti nei quali la società potrebbe concretamente beneficiare della Mediazione Familiare. Qualsiasi decollo parte sempre da terra, da una pista concreta, collaudata, con un buon bagaglio di esperienze e con un chiaro piano di volo.
Dopodiché, la prima tappa di viaggio è l’approfondimento critico dell’attuale ambito di intervento del mediatore familiare e, soprattutto, l’individuazione di quelli che sono i limiti di questo ambito, sui quali riflettere per provare a ipotizzare nuovi scenari possibili, sviluppando visioni immaginifiche di quelli che potrebbero essere i nuovi e ottimali campi di intervento in una prospettiva futura.
Cominciamo a mettere in chiaro che i conflitti familiari non sono solo quelli che hanno una rilevanza giudiziaria, come nel caso di separazione tra coppie o di spartizioni ereditarie, ma sono presenti ovunque, in tutte le dinamiche relazionali e in ogni classe sociale, anche “nelle migliori famiglie”, e tutte le persone coinvolte sono potenzialmente a rischio. Sì, a rischio, e i sempre più numerosi casi di cronaca lo dimostrano chiaramente: oggi la famiglia uccide più della mafia, come indicano le statistiche.
Questo consente di sostenere, senza ombra di dubbio, che la Mediazione Familiare sarebbe tanto, ma proprio tanto, più efficace se fosse praticata in maniera preventiva, vale a dire all’insorgere dei primi segnali, delle prime scaramucce, dei primi sintomi di conflitto e, comunque, prima di intraprendere qualsiasi iter legale e prima di arrivare al conflitto esacerbato, ossia non quando la “guerra” è già scoppiata, con tutte le conseguenze drammatiche del caso, dopo crescenti comportamenti ostili e, spesso, violenti, soprattutto se manifestati in presenza dei figli.
L’intervento del mediatore potrebbe essere inserito in due diverse modalità, non mutuamente esclusive.
Analizziamone i pro e i contro.
a) Nella fase pre-processuale, come preliminare condizione di procedibilità del processo di separazione, così come avviene nella maggior parte delle procedure ADR (Alternative Dispute Resolution).
In tal caso, le spese processuali si ridurrebbero notevolmente, perché il conflitto arriverebbe al Giudice, quanto meno, già depotenziato oppure già trasformato in un accordo da omologare. Di contro, però, l’inevitabile allungamento dei tempi, solleverebbe una serie di dubbi: dubbi di limitazione del diritto del cittadino di adire il Giudice; dubbi sulla sostenibilità economica da parte dei meno abbienti; dubbi sulla sicurezza delle parti deboli, nei casi più conflittuali.
b) Nella fase processuale, in cui il mediatore riveste il ruolo di delegato del Giudice, il suo braccio destro nel caso di specie, cui viene “affidata” la coppia e/o l’intero nucleo familiare in conflitto, laddove sia necessaria una mitigazione per favorire costruttive interlocuzioni con il Giudice e il raggiungimento di un accordo. In questo caso, si potrebbe obiettare che le spese di mediazione dovrebbero essere sostenute dallo Stato, almeno per i meno abbienti, e che questo non può avvenire se non nel campo della sanità. Ma che cos’è un mediatore familiare se non un “medico sui generis” che aiuta a prevenire, guarire e riparare le relazioni, ferite dal conflitto? A quali costi si espone lo Stato e a quali rischi noi cittadini se il perdurare del conflitto genitoriale tarpa inevitabilmente le ali del sano e libero sviluppo emotivo dei figli? Come può esservi ripresa economica senza una crescita culturale fondata anche sulla cultura della mediazione?
In questa seconda ipotesi, il ruolo del mediatore, si configurerebbe come una sorta di “braccio disarmato” della legge, non solo della legge scritta, ma anche di quella etica non scritta, un ruolo che gli consentirebbe, nella migliore delle ipotesi, di riportare le parti, navi in balia della tempesta del conflitto, nel porto calmo e pacifico dell’accordo e, nei rimanenti casi, di suggerire al Giudice una definizione della controversia il più possibile prossima a quella soluzione ottimale che si sarebbe potuta raggiungere in caso di accordo.
In entrambe le ipotesi, la figura del mediatore familiare dovrebbe essere inserita in un contesto normativo a misura d’uomo ed elastico, cioè basato su disposizioni il più possibile di mera enunciazione di principio dei diritti da rispettare, in primis quelli dei minori.
In entrambe le ipotesi, per le spese di mediazione, lì dove fossero a carico degli utenti, potrebbero essere previste agevolazioni, ad esempio:
a) il credito di imposta, come avviene già per la mediazione civile e commerciale;
b) l’inserimento della mediazione familiare in tutti i capitolati delle P.A. e delle aziende private, per le assicurazioni sanitarie dei propri dipendenti, come avviene già per la psicoterapia;
c) l’esenzione dell’IVA per la mediazione familiare, come avviene già per le visite mediche;
d) la mediazione familiare gratuita per i meno abbienti in convenzione con il S.S.N..
Certamente, la tecnica legislativa di scrittura della migliore soluzione procedurale, per inserire la figura del mediatore familiare nel quadro normativo, è una questione riservata al legislatore, ma creare il vestito su misura, adatto a quel particolare caso in quella particolare circostanza, da far indossare alle parti in conflitto, possibilmente su base volontaria oppure su ordine del Giudice, richiede una professionalità in cui non è sufficiente conoscere le norme di diritto, richiede la presenza di un “sarto della pacificazione delle relazioni”, che sappia creare l’abito giusto in grado di valorizzare le potenzialità, richiede un esperto che sappia attivare tutte le risorse per generare l’impulso trasformativo verso l’evoluzione dei legami. Un professionista, il mediatore familiare, dotato di tutte quelle caratteristiche personali, professionali, esperienziali che ho provato a delineare.
Una delle prescrizioni del Giudice potrebbe essere, quando il caso lo richieda, l’obbligo di continuare il percorso di mediazione anche dopo la condivisione degli accordi, come una sorta di accompagnamento della coppia verso la realizzazione delle nuove modalità di gestione nel ruolo genitoriale e co-genitoriale, tenuto conto che nessun accordo tra parti in conflitto, seppur raggiunto volontariamente e con l’aiuto di un mediatore familiare, dura nel tempo se le parti stesse non introiettano e fanno propria la cultura della mediazione in modo consapevole e propositivo, attivando un processo interiore di autoresponsabilizzazione.
Altro intervento, da parte del legislatore, per la prevenzione dei conflitti, potrebbe essere l’adozione di misure di stimolo atte a favorire l’affermazione, nel DNA sociale, della cultura della mediazione.
Oggi, infatti, sono predominanti i falsi valori del conflitto e dell’annullamento del nemico, propagandati, molto esplicitamente, tramite la rete e i social network (hate speech, cyberbullismo, fake news, etc.) e anche subliminalmente, attraverso i massmedia. Oggi, moltissimi conflitti nascono anche attraverso la rete e nelle aule scolastiche, oltre che nei contesti familiari.
Pertanto, si potrebbe riconoscere al ruolo del mediatore familiare e alla cultura della mediazione, anche una funzione pedagogica e didattica sin dal primo ciclo scolastico, inserendo nei programmi ministeriali, curriculari e extra curriculari, materie quali:
l’educazione ai sentimenti;
la lettura e la gestione delle emozioni;
la cura delle relazioni;
l’elaborazione dei conflitti;
il valore della comunicazione verbale e analogica;
il valore della creatività, dell’empatia e della resilienza;
la corretta comunicazione attraverso i media.
Tutto questo potrebbe essere sintetizzato nell’espressione: “media-mediation-emotional education” (Educazione ai media, alla mediazione, alle emozioni).
Tutte le innovazioni, prima di essere realizzate, vanno “prefigurate”, vanno “create con l’immaginazione”, ma sempre in funzione degli obiettivi da raggiungere e senza mai rinunciare a un’accurata analisi, basata sulla consultazione delle parti e degli esperti, nonché a una valutazione preliminare e a una verifica successiva dell’impatto socio-economico della regolamentazione.
Questo uno dei quadri immaginifici di cui ho provato a disegnare le possibili prospettive.
Questo è ciò che sento di scrivere, questo è il contributo che posso offrire al dibattito, questa è la strada che dentro di me sento giusta, questo è il filo conduttore che mi ispira nella mia professione di mediatore familiare.
Spero che qualche lettore possa sentire delle risonanze anche dentro se stesso, spero di avere acceso una piccola scintilla che possa attivare energie, generare altri fuochi, illuminare nuove strade, creare ulteriori scenari, aprire nuove e appassionanti prospettive.
Buon cammino di luce a tutti noi.
Beatrice Mennella