Appassionata-mente
di Beatrice Mennella
“Nulla è nell’intelletto che prima non sia stato nei sensi”
Aristotele
Per tradizione ci sono state insegnate 2 modalità di approcciarsi all’ “apprendimento”.
Una è quella che guarda all’apprendimento come a qualcosa da coltivare e su cui investire per crescere culturalmente e per programmare un futuro migliore e più “sicuro”. Così inteso, il rapporto con il sapere resta intrappolato in un solipsismo che blocca la persona in una sorta di contemplazione estetica e narcisistica, in un ciclo inerte guidato da un imperativo :“ Mi metto a studiare, ad esplorare, a conoscere, perché voglio investire su me stesso e sul mio futuro”.
A questa modalità si alterna o si sovrappone una seconda, che spinge a rapportarsi all’apprendimento assumendo il ruolo della guida intellettuale pronta a mettere in circolo i propri saperi acquisiti, al fine di produrre trasformazione ed evoluzione. Un approccio sicuramente meno arenato nelle secche dell’individualismo narcisista, perché aperto al mondo e agli altri, però pur sempre di sola andata, cioè senza ritorno : il rapporto unidirezionale di chi possiede la verità e doverosamente la vuole diffondere.
Entrambe le modalità rappresentano le due facce di una stessa forma mentis che porta a sentirsi portatori di verità universali, espresse e gestite secondo canoni rigidi di elaborazione intellettuale e funzionale, e che rischia di condurre al narcisistico non-senso, allo sterile formalismo, al pratico ma arido opportunismo, al nichilismo, all’autoritarismo. Modalità che vanno necessariamente elaborate ed integrate con una terza modalità, più evoluta e indispensabile al nostro ben-essere: quella che vede nel rapporto con l’apprendimento una vera e propria relazione d’amore.
E’ in questa relazione che la conoscenza diviene l’atto dell’intelligere, cioè dell’inter-legare, legando insieme in modi sempre diversi, realtà, saperi, esperienze, emozioni. Un divenire indispensabile perché se manca il coraggio della creazione, del progetto, tutto diviene mera e statica ripetizione e la società non può evolvere, l’uomo non può evolvere.
E’ necessaria quella che mi piace definire “l’arte del fraintendimento” intesa come la straordinaria capacità creativa che consente agli “allievi” di interpretare, intuire, dedurre e rielaborare i saperi trasmessi dal “docente” per inventare e progettare nuovi scenari possibili. Un’arte che è non solo capacità competente ma soprattutto amore, quel sentimento che spinge alla relazione appassionata , interessata e curiosa con la conoscenza , ricercata, scoperta, sentita, ascoltata, creata. L’apprendimento così inteso, come atto d’amore che inter-lega e ordina i fili inventando trame sempre nuove e impreviste, diviene appassionata ricerca, emozione, pulsione aperta all’altro, al mondo, all’interazione, al confronto dialettico sano, costruttivo, desiderato e che apre meravigliosi squarci di verità. E’ così che la cultura non è più di chi la produce e di chi passivamente la assorbe, ma il prodotto d’amore di due o più persone in relazione, di due o più intelligenze, sensibilità, esperienze e saperi che si incontrano, che si scontrano anche, che si contaminano. L’apprendimento non può essere l’incontro di una persona con un testo, con un docente o con un guru, perché ciò che fa la differenza è la produzione simbolica attivata da uno stimolo trasmesso, è lo scambio di queste produzioni simboliche attraverso azioni, parole, sensazioni, emozioni.
Ed è nella competenza simbolica, che scaturisce da questo scambio tra produzioni simboliche, l’elemento di rottura e di evoluzione del nostro rapporto con la conoscenza. Una competenza in continua evoluzione, non automatica ma desiderata, aperta, inconclusa e imprevista come ogni relazione d’amore.
Questa modalità appassionata è la stessa con la quale ogni professionista, operatore socio-psico-pedagogico, dovrebbe sempre approcciarsi , non solo nell’ambito della sua formazione ma anche durante lo svolgimento della sua professionalità, e che rende ogni seduta, ogni relazione, un vero e proprio incontro d’amore durante il quale intessere, reciprocamente, nuove trame. E’ così che ogni incontro con un cliente diviene anche per noi operatori una grande opportunità di crescita, personale e professionale. L’occasione per migliorare le proprie competenze e il proprio bagaglio personale, raccogliendo, attraverso il racconto dei vissuti, nuove e affascinanti produzioni simboliche; perfezionando le tecniche attraverso le risposte verbali e analogiche dei clienti; osservando anche se stessi nella relazione attraverso le reazioni che provochiamo.
Un detto popolare sostiene che ”l’amore è cieco”, ma in realtà, quasi sempre, l’amore ha la vista lunga e vede bene e meglio perché riesce a cogliere dettagli e verità oltre i limiti dell’apparenza e tende più all’evoluzione che alla conservazione.
Uno studio condotto nel Maryland, dal National Institute of Bethesda, ha dimostrato che più un bambino nei primi anni di vita è amato e circondato di affetto, con relazioni a livello familiare, stabili, sicure e affidabili, più il suo cervello tende ad evolvere e ad espandersi e sviluppa un’attività cognitiva cerebrale superiore. Questione di biochimica cerebrale e dell’interazione gene-ambiente.
Queste relazioni affettive stabili, consentono anche un maggiore e migliore sviluppo della cosiddetta resilienza, che è la capacità di sopportare e fronteggiare tutte le difficoltà e gli stress ambientali. Viceversa, una carenza affettiva durante l’infanzia può generare una disfunzione del gene della serotonina, ovvero la molecola della depressione.
Dunque, non solo l’apprendimento e le relazioni personali e professionali ma anche tutte le funzionalità cerebrali, si sviluppano meglio se si parte da una spinta , da una energia fatta di emozioni e di sentimenti, dall’amore.
Nulla può dirsi acquisito realmente, fatto bene e regalarci effettiva crescita e ben-essere, se non vi è questa spinta atavica, questo atto d’amore che inter-lega. All’origine di ogni apprendimento, di ogni esperienza formativa, di ogni percorso di crescita, di ogni azione, di ogni comportamento, occorre accettare di porre un affetto per se stessi, per gli altri, e consentire alla conoscenza di evolvere in saggia comprensione.
“ Non ridere, non lugere, nesque detestari, sed intelligere! “ “Non ridere, non piangere, non detestare, ma comprendere!”.
Beatrice Mennella