Con invito a visionare il video “Le due mamme”, del 3 giugno 2013, al link
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-49b2ba29-a8e2-433e-bc77-3235702f8cd2.html
“I am the love that dare not to speak its name”
(“Io sono l’amore che non osa dire il suo nome”)
Lord Alfred Douglas
- IO HO DUE MAMME.
- E IO HO DUE PAPA’.
di – Beatrice Mennella -
Questo articolo vuole rappresentare la prima tappa del percorso progettuale che lo Studio Dentro BenEssere intende sviluppare a sostegno delle famiglie omogenitoriali: delle coppie omogenitoriali e dei figli che vi crescono.
Un impegno su un tema cui non può sottrarsi chi si occupa di diritti e di tutela dei minori e, in generale, del loro benessere con riguardo alle situazioni di problematicità, per offrire pari opportunità a tutti i figli, a tutti i genitori, a tutte le famiglie.
Un progetto al quale Dentro BenEssere tiene particolarmente, nell’ottica della propria prospettiva disciplinare che mira alla prevenzione dei disagi psico-fisici e al ben-essere delle persone e, quindi, al benessere dei sistemi formativi, educativi e affettivi.
La società si trasforma e la vita, in tutte le sue sfaccettature, anche nelle sue “scomode” diversità, è sempre un dono che va riconosciuto, rispettato e tutelato. Soprattutto i bambini vanno sempre garantiti nei loro diritti e tutelati nei loro superiori interessi.
La scuola e tutte le professionalità che operano in campo pedagogico, psicopedagogico, formativo, educativo, didattico, non possono esimersi dalla conoscenza e dall’approfondimento di queste famiglie, sicuramente molto diverse, per alcuni aspetti, da quelle tradizionali, ma reali, in evoluzione e sempre più diffuse.
La maggior parte delle ricerche al riguardo proviene dagli Stati Uniti mentre in Italia la campionatura è molto bassa e, pur rappresentando indubbiamente un’importante indicazione di riferimento, poco rivela su come crescano i figli in queste famiglie, come questi genitori gestiscano il rapporto con i loro figli, che tipo di comunicazione facciano sulla propria omosessualità, e, poi, che rapporti hanno con le famiglie di origine, che cosa viene comunicato agli insegnanti dei figli e ai vari operatori che ruotano intorno alla crescita di questi bambini.
E’ per comprendere tutto questo ed elaborare nuovi approcci mirati di tutela e prevenzione del disagio che Dentro BenEssere ha deciso di attivare una triplice iniziativa:
1) Aprire uno sportello gratuito di ascolto per sviluppare un filone di approfondimento qualitativo teso ad esplorare le vicende vissute raccogliendo la voce dei protagonisti per poter considerare i significati soggettivi, intersoggettivi e contestuali come preziosi indicatori di conoscenza: “Racconta la tua storia, esprimi i tuoi interrogativi ma anche i tuoi bisogni”. Lo sportello di ascolto gratuito è attivo presso lo Studio Dentro BenEssere ogni giovedì dalle ore 16 alle ore 20, ed è accessibile a tutti previo appuntamento telefonico o via mail scrivendo a info@dentrobenessere.net .
2) Invitare chiunque abbia voglia di scrivere una poesia, una favola o una filastrocca per questi bambini figli di genitori omosessuali, ad inviare all’indirizzo info@dentrobenessere.net le proprie produzioni. L’intento è quello di contribuire a stimolare, sia in chi scrive che in chi legge, la creatività, e attraverso la creatività anche il senso etico-civico-sociale-culturale, nella convinzione che i versi consentano un’apertura dolce al mondo e possano offrire una possibilità di crescita spirituale riconducendo al centro dell’attenzione il valore della Persona.
3) Condurre un sondaggio on-line per raccogliere proposte e riflessioni da parte di chi desideri fornire un contributo a questo progetto, inviando all’indirizzo info@dentrobenessere.net le risposte a quattro interrogativi :
a) Quali strumenti e metodologie utilizzare per rendere il contesto scolastico accogliente ed inclusivo rispetto alle famiglie omogenitoriali?
b) Quali sono i bisogni e le esigenze di una famiglia omogenitoriale che interagisce non solo con l’istituzione scolastica fatta di insegnanti, operatori scolastici, genitori degli altri bambini e/o adolescenti, compagni di classe, ma anche con i vari contesti sociali, formativi-educativi (palestre, parrocchie, luoghi di socializzazione o di svago)?
c) Quali sono, inoltre, i bisogni degli educatori e degli insegnanti rispetto al tema della genitorialità omosessuale?
d) Quali sono i bisogni dei bambini e delle famiglie che interagiscono con le famiglie omogenitoriali?
Interrogativi su cui è necessario che tutti riflettano attentamente, non solo per migliorare le pratiche educative e per agevolare questi genitori nell’educazione e nella cura dei figli ma anche per evitare il rischio di diffusione di stereotipi e pregiudizi, che possono sfociare in atti di bullismo e di discriminazione, con esiti spesso drammatici.
Juergen Habermas e Karl-Otto Apel sostengono che può ritenersi etico tutto ciò che non viene affermato in termini assoluti, tutto ciò che ricerca il consenso partecipato per obiettivi condivisi.
In questa chiave si muove Dentro BenEssere che vuole mantenersi fuori dal dibattito/contrasto tra ideologie, lasciando che esso possa evolvere in altra, idonea e separata sede.
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La famiglia omogenitoriale è quella formata per libera scelta da una coppia genitoriale omosessuale, ossia dello stesso sesso.
Rappresenta una realtà già enormemente presente anche qui in Italia dove, attualmente, ci sono più di 100.000 figli di genitori omosessuali, nati o da precedenti unioni eterosessuali o nella coppia omosessuale attraverso tecniche di P.M.A. (procreazione medicalmente assistita), o nell’ambito di progetti “di famiglia allargata” che tipicamente si realizzano quando due coppie omosessuali o una coppia omosessuale più una terza persona, organizzano la filiazione e la gestione della genitorialità in comune. “Le forme di genitorialità e di relazioni che caratterizzano tali famiglie possono essere alquanto ricche e complesse: qui le dimensioni della convivenza, procreazione, genitorialità, si mescolano dando luogo ad inedite costellazioni familiari” (Ruspini, Luciani).
Sono genitori un omosessuale maschio o femmina ogni venti: per l’esattezza, il 5% dei primi (dei quali il 4,5 % è padre biologico) ed il 7% delle seconde (di cui il 4,5% madre biologica).
Il numero di queste famiglie cresce di pari passo con le polemiche.
Tuttavia, il nostrano dibattito sociale e politico sul rapporto tra omosessualità e genitorialità, per ovvi motivi particolarmente attento e “aperto” nelle fasi di propaganda elettorale, è generalmente totalmente concentrato sul “giudicare” e sul “decidere” se permettere o non permettere, se accettare o non accettare, una realtà già enormemente presente ma purtroppo o sconosciuta, o mistificata e rifiutata, perché essere genitori ed essere omosessuali sono due stati che il senso comune ritiene inconciliabili. Eppure, rispettare e tutelare i diritti e i doveri delle persone in quanto tali, soprattutto dinanzi ad una realtà così folta, dovrebbe essere un sentire etico comune perché, al di là dei credi, uno Stato civile è tenuto a tutelare tutti in quanto persone, a maggior ragione quando si tratta di bambini e minori, per assicurare il pieno e sano sviluppo della loro personalità individuale e sociale.
La bellezza e la ricchezza del mondo sono nella sua diversità e la possibilità di sviluppo dimora proprio nella capacità di accettare, analizzare e regolamentare gli inevitabili cambiamenti della realtà, della società, della vita, anche quelli apparentemente più scomodi, soprattutto lì dove i segnali di questo cambiamento sono così numericamente imponenti. Risulta sbagliato perché sterile l’atteggiamento mentale ed emotivo di “puntare i piedi” per opporsi alla realtà che cambia, alla natura che cambia e alle persone diverse.
Le diversità non possono mai essere figlie del silenzio e relegate in un ghetto, ma vanno sempre accolte e capite e, a tal fine, studiate con impegno per restituirle sotto forma di risorsa in grado di arricchire il contesto sociale, abbattendo i pregiudizi che alimentano la discriminazione e contribuendo al cambiamento culturale rispetto al concetto di famiglia.
Per comprendere il motivo del pregiudizio con cui ancora oggi viene vista l’omogenitorialità da parte degli eterosessuali, occorre effettuare un breve excursus sulla storia evolutiva della famiglia.
Fino alla prima metà dell’Ottocento la famiglia era prevalentemente patriarcale e tipica di un contesto socio-economico di carattere quasi esclusivamente rurale. In essa convivevano in forma allargata vari livelli di generazione e tutto ciò che riguardava la coppia, il matrimonio e la famiglia era determinato da alleanze tra gruppi sociali o parentele, soprattutto in riferimento a vantaggi economici. La relazione affettiva aveva scarsa importanza, poteva essere presente o assente e le relazioni d’amore spesso erano vissute in clandestinità. Alla fine dell’Ottocento, con l’affermarsi del principio secondo cui la persona in quanto tale va rispettata nel suo diritto alla propria autodeterminazione, la coppia diventa auto-poietica, in grado di auto-costruirsi connotandosi come sfera privata e intima, tanto da non poter più rendere attuabili tradizioni e regole che in passato venivano praticate, pur conservando la forma di famiglia patriarcale. Nei primi del Novecento, a seguito del diffondersi dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione, diviene predominante la famiglia nucleare, con confini precisi, separata dal contesto sociale e genealogico di appartenenza, con la riorganizzazione dei rapporti familiari e la ridefinizione del numero dei membri costitutivi perché composta esclusivamente dal nucleo genitori-figli separato rispetto alle generazioni più anziane ed alle figure patriarcali. Restano però invariati i suoi principi fondanti: coniugalità, eterosessualità, capacità riproduttiva, omogeneità culturale. A partire dagli anni settanta cominciano a comparire e si sviluppano sempre più altre tipologie di famiglie, quelle post-separazione e post-divorzio, quelle composte da un solo genitore (monogenitoriali), quelle ricomposte e quelle allargate. Lo scenario che si presenta agli studiosi della famiglia inizia a diventare molto vario e complesso e soprattutto la genitorialità assume profondi cambiamenti di significato: nel momento in cui i legami di coppia diventano sempre più caratterizzati dall’instabilità, è esclusivamente nel FIGLIO e quindi nella genitorialità, che si ricerca il punto fermo, l’ancoraggio della propria vita. Il legame genitoriale diviene l’unica solida base da cui partire per dare una connotazione precisa alla famiglia, che ruota intorno alla figura del figlio, unico elemento che resta stabile in un contesto variabile di legami di coppia spesso labili e che si fonda sull’appartenenza sessuale.
Da questa matrice culturale hanno origine l’ansia e l’ostracismo rispetto alla genitorialità omosessuale. Il legame genitoriale, così fortemente sentito, viene minacciato da un elemento nuovo e stravolgente: l’appartenenza sessuale non è più un dato di fatto, il punto fermo e fisso che regola la dimensione genitoriale, le relazioni affettive e familiari. La coppia genitoriale può essere femminile o maschile e può anche ulteriormente trasformarsi successivamente perché tutto dipende dagli affetti, dai legami sentimentali e non più dal genere sessuale di appartenenza.
Dall’ansia e dalla difficoltà nel concepire un legame genitore – figlio non più basato sull’appartenenza sessuale nasce la sensazione inconsapevole di minaccia per se stessi e per la sopravvivenza del ruolo genitoriale come ultimo baluardo di stabilità familiare, e di qui il rifiuto dell’omogenitorialità.
Tuttavia è un dato di fatto che la famiglia ha subito una rivoluzione che l’ha modificata radicalmente nei suoi principi fondanti rispetto alla tradizionale famiglia patriarcale e nucleare e che porta a rivedere teorie, categorie, linguaggi; che porta a chiedersi se si possa ancora parlare di famiglia al singolare e non piuttosto di varie “tipologie” di famiglia, ciascuna con le proprie caratteristiche di funzionamento e con dinamiche interne specifiche che vanno anche al di là della “tipologia” perché dipendenti dal modo in cui le persone che compongono la famiglia stanno in relazione tra loro, nonché dal modo con cui si rapportano con l’esterno.
Dunque, nel caso delle famiglie omogenitoriali, si tratta di allargare ad ampio raggio il tradizionale e comune concetto di famiglia e, soprattutto, di genitorialità, per dare dignità e rispetto ad una realtà diversa già esistente all’interno di un panorama sociale in continua evoluzione. In tal senso appare, dunque, anacronistico, limitato e limitante il discutere sul pro o sul contro, e risulta invece molto più giusto e logico, culturalmente costruttivo e soprattutto urgente, affrontare e stabilire come essere, in queste famiglie, un buon genitore a prescindere dal sesso anagrafico, perché la funzione genitoriale non può essere limitata e ridotta alla genitalità e all’orientamento sessuale, ma è un ruolo di cura, di amore, di rispetto, di responsabilità. Un ruolo che, sicuramente, i genitori omosessuali devono poter affrontare anche con le giuste competenze per essere in grado di realizzare direzioni educative psico-pedagogicamente corrette, ossia attente, intelligenti, sensibili e pronte a sostenere i figli nelle possibili difficoltà che questi potranno affrontare nel loro percorso di socializzazione e di confronto con i coetanei, i compagni di classe e gli adulti di riferimento. Difficoltà inevitabili e riscontrabili, d’altra parte, in tutte le realtà nuove, in tutti i cambiamenti ma che, poi, con i dovuti modi e tempi vengono superate. Basti pensare che, fino a qualche anno fa la risposta alla domanda se i bambini allevati da un padre e da una madre avessero le stesse opportunità dei bambini allevati solo dalla madre, sarebbe stata “no”. Fortunatamente il pregiudizio sociale che ha fatto soffrire tante madri sole e i loro figli, è ormai considerato inaccettabile dai più.
Al di là dei casi specifici e delle singole individualità, la domanda oggettiva che sorge spontanea è :
Come crescono i figli in queste famiglie? Si possono ravvisare differenze e problematiche nello sviluppo psico-fisico di questi bambini?
L’intera comunità scientifica internazionale non oppone nessuna autorevole ricerca; anzi, nel luglio 2004 l’ American Psiycological Association ha dichiarato : “Non esiste alcuna prova scientifica che l’essere dei buoni genitori sia connesso all’orientamento sessuale dei genitori medesimi. Genitori dello stesso sesso hanno la stessa probabilità di fornire ai loro figli un ambiente di crescita sano e favorevole. La ricerca ha dimostrato che la stabilità, lo sviluppo e la salute psicologica dei bambini non ha collegamento con l’orientamento sessuale dei genitori, e che i bambini allevati da coppie gay e lesbiche hanno la stessa probabilità di crescere bene quanto quelli allevati da coppie eterossessuali”.
In particolare, due sono i timori che permangono nella nostra cultura.
Il primo grosso scoglio resta la convinzione che i figli cresciuti da genitori omosessuali abbiano più probabilità di diventare a loro volta omosessuali in quanto lo sviluppo dell’identità sessuale può essere compromesso. In realtà i dati non suggeriscono quote più elevate di omosessualità tra i figli di omosessuali. Inoltre, tutti gli studi condotti dimostrano che: 1- nessuno di questi figli, seguiti nell’infanzia, nell’adolescenza e nell’età adulta, non si riconosce nel proprio genere di appartenenza; 2- i comportamenti di genere sono più flessibili e meno comunemente ruolizzati, infatti le bambine tendono a scegliere più liberamente e serenamente attività, come sport, studio o professioni, considerate meno tipicamente femminili. Vi è comunque, in generale, una maggiore “apertura” che questi figli acquisiscono rispetto alla possibilità di immaginare e di vivere la propria sessualità.
Il secondo grande timore è ritenere che questi figli potranno incontrare maggiori difficoltà nelle relazioni sociali in un mondo dominato da famiglie tradizionali eterosessuali. Secondo Michael Rosenfeld, professore di sociologia all’Università di Stanford, questa paura è ingiustificata, frutto di pregiudizi che non trovano riscontro nei dati forniti dalla più grande banca dati a disposizione, l’U.S. Census. Anche l’U.S. National Longitudinal Lesbian Family Study, che ha seguito i figli di 154 coppie di madri omosessuali per ben 25 anni, ha ugualmente concluso che non ci sono sostanziali differenze di comportamento, relazioni sociali e inserimento. In realtà sembrerebbe che vi sia da parte dei genitori omosessuali non solo una fortissima responsabilizzazione, perché hanno lavorato sodo per essere genitori e sono consapevoli del privilegio che hanno, ma anche un’attenzione matura rispetto al proprio ruolo, perché la preoccupazione che la propria omosessualità e la propria specificità di vita possano davvero produrre degli effetti negativi li spinge, spesso, a consultare specialisti, psicologi e pedagogisti, per ottenere consigli su come allevare i bambini.
Paradossalmente le uniche differenze e problematicità oggettive, le uniche situazioni pregiudizievoli, non risiedono principalmente nell’omosessualità e nella confusione dell’identità di genere, ma derivano proprio dalla gestione quotidiana del pregiudizio, della discriminazione e dal misconoscimento che i figli di genitori omosessuali vivono e subiscono, soprattutto in quei Paesi in cui mancano gli essenziali riconoscimenti giuridici.
Infatti:
1- Per lo Stato Italiano queste famiglie non esistono , i figli non sono riconosciuti dall’attuale sistema legislativo come figli di una coppia, e quindi il genitore non consanguineo non ha né diritti né doveri nei confronti dei figli.
2- La mancanza di riconoscimento etico e giuridico da parte della società, e quindi della scuola, delle altre famiglie o a volte degli stessi specialisti addetti al sano sviluppo dei minori, può generare nella quotidianità di questi bambini difficoltà che inevitabilmente possono interferire con il loro equilibrio psico-fisico, oltre che con quello dei loro genitori.
3- In caso di morte del genitore consanguineo, non è garantita al figlio la continuità affettiva ed educativa del co-genitore.
4- In caso di separazione dei genitori omosessuali, i figli non sono tutelati rispetto al genitore non consanguineo che non può vantare alcun diritto e a cui non è riconosciuto alcun dovere.
Colpisce molto questo squilibrio di facoltà e di responsabilità tra genitore biologico o legale e co-genitore.
Ha fatto scalpore una sentenza, emessa con un decreto datato 2 novembre 2007 del Tribunale per i minorenni di Milano, in seguito alla separazione di una coppia omosessuale femminile, in merito all’affidamento dei figli, in cui, per la prima volta nella storia giudiziaria italiana, una coppia omogenitoriale (Maria e Francesca) venne riconosciuta, con un inedito timbro di ufficialità, come una famiglia. La sentenza parla di “effettivi rapporti genitoriali” e riconosce che, prima della separazione, la coppia ha allevato i figli “secondo uno schema tipicamente familiare” e in tal modo i due bambini, di 11 e 9 anni, non hanno sofferto alcun disagio.
Maria e Francesca, dopo alcuni anni di convivenza, avevano deciso, come una normale coppia, di creare famiglia e, ricorrendo alla fecondazione medicalmente assistita, Francesca aveva partorito prima una bimba nel 1999 e poi un bimbo nel 2001.
Purtroppo, così come capita anche in molte coppie eterosessuali, l’amore finisce. Maria va via di casa e, in seguito ad un accordo consensuale, continua a vedere i bambini, ma poi, ad un certo punto, come spesso succede anche in molte separazioni eterosessuali, la situazione precipita e a Maria viene praticamente impedito di vedere i figli. Pertanto, nel giugno 2007, pur non avendo alcuna legittimazione giuridica, Maria decide di presentare un’istanza al Tribunale dei minori di Milano, per ottenere l’affidamento condiviso e il riconoscimento del diritto di visita, sia pure lasciando i due figli accanto alla madre biologica.
Il ricorso viene respinto perché le norme sull’affidamento condiviso, sul diritto di visita, sul contributo al mantenimento dei figli e via dicendo, riguardano solo ed esclusivamente i genitori, quelli con un rapporto di filiazione biologica o legale (come per l’adozione). Ma, ed ecco il punto clamoroso, il Tribunale ha anche riconosciuto nel decreto che, il preminente interesse dei minori a non perdere quell’importante figura di riferimento affettivo, “potrebbe essere oggetto di un altro procedimento”.
I giudici si trovano dinanzi ad un caso senza precedenti nella legislazione italiana, ma “per il benessere e l’equilibrio dei bambini, decidono di accertare la situazione”. Le udienze si susseguono, vengono ascoltate le parti ed eseguite perizie sui due bambini. Alla fine, anche se tutti gli accertamenti e le perizie, richieste dal pubblico ministero, riconoscono “l’inequivocabile ruolo genitoriale” svolto da entrambe le componenti parentali e, quindi, propendono per una ripresa dei contatti, il Tribunale decreta che il “disagio dei minori è inquadrabile all’interno della conflittualità separativa che ha colpito le due figure, che da sempre sono state figure di riferimento genitoriale”, ma nonostante questo inequivocabile ruolo genitoriale, Maria non può ottenere l’affido congiunto e non può tornare ad avere rapporti con i bambini.
All’esito dell’istruttoria il Tribunale ha archiviato il caso avendo verificato sia l’adeguatezza della madre biologica a svolgere il proprio ruolo di genitore a prescindere dalla sua omosessualità, sia l’assenza di pregiudizio per i due bimbi a seguito dell’interruzione dei rapporti con la ex compagna della mamma.
Tuttavia, con riguardo a questo ultimo punto, si riporta una lettera di Maria datata 1 gennaio 2010, più eloquente di qualsiasi altra osservazione.
“Sono quasi quattro anni che non vedo G. e L.. Anzi, non è vero, li ho visti per pochi attimi durante gli incontri voluti dagli psicologi incaricati dal Tribunale per i Minorenni ed avrei voluto che il tempo allora si fermasse.
Pochi giorni fa mi è stata notificata la sentenza del Tribunale. Continuerò a non vedere i miei bambini.
Poi sono apparsi articoli che potrebbero rendere felici i genitori omosessuali e gli omosessuali che desiderano avere dei bambini e tutti coloro che credono che gli omosessuali possano avere una famiglia. Ma non è vero. Non è vero che il TM ha sentenziato che i figli di genitori omosessuali crescono senza disagi e soprattutto non è vero che venisse messa in dubbio l’adeguatezza della mamma biologica a causa della propria omosessualità, come invece dice ed alta voce la sua legale, il cui nome, unico, compare a suggerire la maternità dell’articolo.
La sentenza è stata pronunciata perché quattro anni fa la mia ex compagna, mamma biologica dei nostri bambini, che portano entrambi i nostri nomi, ha deciso di non farmeli più vedere ed io, non sopportando il dolore di questa scelta, ho presentato un’istanza al Tribunale per i Minorenni.
Capirei una scelta radicale come quella della mia ex compagna, se avessi mai fatto davvero del male ai bambini. Una madre può decidere di proteggere la propria prole da un co-genitore che li maltratta, che ne abusa, che ne mette le vite in pericolo.
Io certo, come qualunque genitore, non sono stata perfetta. Ma soprattutto ho avuto la colpa di non rispondere più alle sue aspettative. Si è trovata una nuova compagna, cosa comprensibile. Ha deciso di cancellarmi dalle loro vite, dicendo che questo era per il bene dei bambini. Questo invece non riesco ad accettarlo.
Se fossi un uomo, suo marito o il suo compagno, la legge la obbligherebbe a condividere la genitorialità con me, con le visite, i week end programmati, le vacanze e le feste ad anni alterni. Dovrei anche partecipare alle spese per la loro crescita.
La sentenza invece dice che, pur riconoscendo la mia figura come ‘genitoriale’ ed il nostro vivere insieme come ‘famiglia’, io non sono titolare del ‘diritto potestativo’, che spetta unicamente ai genitori biologici o adottivi.
Nella sentenza il mio chiedere ad alta voce la possibilità di rivedere quelli che sono stati dalla nascita e continuano ad essere, nel mio cuore, i miei figli è stato additato come un bisogno quasi capriccioso, egoistico, insano. Se fossi stata un padre, anche un padre adottivo, a nessuno sarebbe venuto in mente di discutere il mio desiderio, anzi, il mio desiderio sarebbe stato legge. Ma nessuna legge oggi sostiene il mio desiderio di co-mamma, nessuna legge riconosce il mio diritto di amore verso quei bambini, né il loro diritto di poter continuare ad amarmi, invece di essere condannati a detestarmi o a dimenticarmi, perché la loro mamma biologica si è scordata il nostro progetto comune o lo ha rinnegato.
Tante volte mi sono chiesta se il mio provare a risalire la corrente, il tentare di combattere contro una scelta di chiusura, quello che nella sentenza i giudici hanno definito “la cocciutaggine del procedere contro tutti”, avesse un senso, un diritto, una speranza, ma soprattutto se non avrebbe potuto alla fine procurare delle ferite ai bambini. Quante volte me lo sono chiesta. Che decisione difficile è stata quella domanda che è arrivata nell’aula del Tribunale. E che coraggio devo riconoscere, a quel Tribunale per i Minori, che in assenza di qualunque norma a legittimare le mie richieste, pur rigettando la mia istanza, ha deciso di proseguire per scoprire come stessero i bambini e quale fosse il loro vissuto affettivo dopo la separazione tra me e loro.
I miei bambini stanno bene. Ora stanno bene, stanno crescendo.
I periti del Tribunale hanno stabilito che questa situazione è quella tipica di una “sindrome da alienazione genitoriale” (sindrome di Gardner), cioè quello che accade quando il genitore che ha con sé i figli decide di tagliare completamente i rapporti con l’altro genitore. I figli sono costretti, per sopravvivenza, per adattamento, per lealtà verso il genitore con cui vivono, a sposarne le scelte, i punti di vista. Così, a furia di sentir dire che l’altro genitore è inadeguato, è cattivo, non è e non deve essere più presente, anche per loro l’altro si allontana. E’ anche un modo per rendere meno forte il dolore della mancanza. All’inizio tutto sembrerà reggere, i danni si manifesteranno col tempo.
Quando i miei bambini mi hanno visto, durante gli incontri con i periti, non riuscivano nemmeno a guardarmi negli occhi, tenevano le teste basse o voltate. Poi però affioravano i ricordi dei momenti insieme. In un pianto, in un attimo di apertura, uno di loro mi ha gridato che ero stata io a non volerli più vedere.
Come può una madre raccontare ai propri figli una bugia tanto dolorosa?
I miei figli però per il momento stanno bene, così ha concluso il Tribunale. Sopravviveranno alla mia assenza.
Anch’io ho imparato a sopravvivere senza di loro. Con tanto dolore. Con tanti ricordi. Con tanta speranza di poterli un giorno rivedere, ritrovare. E vorrei tanto raccontare loro di come sono cambiata, di come cresco anch’io, di come, credo, potrei capirli meglio e di più ed aiutarli più e meglio ad essere dei giovani esseri in un mondo meraviglioso.
Chissà se la loro mamma potrà capire mai che questo tentativo un po’ caparbio di rivedere i suoi bambini è perché quei bambini per me sono i nostri. Che quello che ho fatto e che rifarei ancora non è stata una battaglia contro di lei ma una testimonianza d’amore verso i miei figli.
Mi auguro che questo Paese sia in grado di crescere, di farlo presto. Le famiglie di coppie omosessuali esistono, che piaccia o no. E in queste famiglie nascono dei figli, che piaccia o no. Questi figli meritano la stessa tutela che hanno tutti gli altri bambini. Ed i genitori non biologici non possono essere semplicemente ignorati, perché se non figure di sangue, geni o leggi, sono indubbiamente figure d’amore”.
Questa sentenza milanese rappresenta, comunque, un precedente importantissimo per tutte le famiglie omogenitoriali perché ne riconosce giuridicamente “l’inequivocabile ruolo genitoriale”.
Maria di sicuro non è una mamma che si rassegnerà :«Anche se non ho ottenuto l’affido congiunto dei bambini» sostiene «rifarei tutto quel che ho fatto. E farò comunque di tutto per poterli guardare negli occhi, prima o poi. Voglio che sappiano che non li ho abbandonati”.
Il coraggio e il cuore di Maria hanno aperto una strada nuova nella legislazione italiana.
E’ infatti di poche settimane fa una sentenza della Cassazione, datata 12 gennaio 2013, in merito ad un altro caso di genitorialità omosessuale, che rappresenta una grandissima evoluzione perché affronta il fulcro di tutta la questione dei diritti negati alle persone omosessuali e ai loro figli, e demolisce la base ideologica, pregiudizievole, contro le famiglie omogenitoriali. I giudici della prima sezione civile hanno respinto il ricorso di un padre, di religione musulmana, contro la decisione della Corte d’Appello di affidare, in via esclusiva, il figlio alla madre, una donna italiana che, successivamente, si era impegnata sentimentalmente con una convivenza omosessuale. Si legge : “Non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza bensì il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale. In tal modo si dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino, che dunque correttamente la Corte d’appello ha preteso fosse specificamente argomentata”.
Si assiste con questa sentenza ad un rovesciamento dell’intera situazione, non solo perché si sostiene che l’omosessualità del genitore non è un motivo sufficiente a negare le sue capacità genitoriali (così come la scienza internazionale già dice da 40 anni, così come le legislazioni di numerosi paesi europei, americani e sud-africani dicono nelle loro leggi, così come testimoniano le vite di milioni di figli di genitori omosessuali nel mondo), ma soprattutto perché, da questa sentenza in poi, bisognerà ormai dimostrare il contrario, dimostrare cioè che l’omosessualità in sé sia condizione dannosa per la crescita dei figli e sia un fattore di esclusione del co-genitore (genitore non biologico) dalla vita e dall’educazione dei figli.
In attesa che la legislazione italiana si muova a tutela di queste famiglie, i percorsi di Mediazione Familiare, condotti da professionisti esperti, molto possono fare per tutelare questi bambini e i loro co-genitori, nelle situazioni di conflitto e/o di separazione della coppia, andando a lavorare sul ripristino della comunicazione e l’evoluzione dei comportamenti, al fine di evitare danni gravissimi su questi figli e sui co-genitori come Maria.
Ancor più è possibile fare in termini di PREVENZIONE, definendo con le persone un percorso specifico, psicopedagogico, pedagogico e andragogico, formativo-educativo, di sostegno e di accompagnamento, per affrontare ed elaborare le possibili difficoltà, individuando regole e strategie funzionali calibrate sul rispetto della dignità e delle caratteristiche personali, lasciando emergere potenzialità e risorse interiori alle quali attingere nella ricerca di soluzioni. Un percorso di scelta responsabile che va a sviluppare temi importanti, quali:
• le modalità di comunicazione e relazione con i figli, sia come coppia che come singola persona;
• la scelta di come presentarsi all’esterno, di come presentarsi e farsi definire dal bambino/a, e del modello da offrire per tutelare il benessere dei figli, rispettandone le individuate esigenze, e per realizzare idonee direzioni educative;
• i rapporti dei genitori tra di loro ma anche rispetto alle reciproche famiglie di origine e al contesto sociale: come organizzare compiti, spazi e tempi all’interno della coppia genitoriale;
• la previsione di ciò che può accadere nell’eventualità di una separazione consensuale o conflittuale.
Affrontare questi temi per delinearne principi e regole, può rappresentare non solo un’occasione feconda di crescita personale e di coppia a tutela del benessere dei figli e della famiglia, ma anche, in assenza di una regolamentazione legislativa, una sorta di carta dei valori, un “documento” centrato sulla PERSONA che richiami “formalmente” agli impegni di responsabilità assunti con la genitorialità, e a cui fare riferimento in tutti i momenti di difficoltà e, soprattutto, in caso di separazione, onde evitare che la delusione e la rabbia prendano il sopravvento e che il conflitto si trasformi in distruttività generando situazioni dolorose per tutta la famiglia.
Questi percorsi possono svolgersi anche all’interno di gruppi di crescita per offrire un’importante occasione di incontro e di confronto a quelle coppie omogenitoriali che difficilmente hanno opportunità di socializzazione con altre famiglie omogenitoriali, e possono favorire lo sviluppo di una rete esperienziale interpersonale per condividere momenti, esperienze, riflessioni ed attivare virtuose collaborazioni.
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