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AGGIORNAMENTI

a cura della dr.ssa Beatrice Mennella.

23 ottobre 2019. Con la sentenza n. 221, la Corte Costituzionale torna a pronunciarsi sul delicatissimo  tema della procreazione medicalmente assistita, giudicando la legittimità costituzionale degli artt. 5 e 12 della Legge n40/2004.

Tramite un meticoloso excursus tra giurisprudenza interna ed internazionale la Consulta si interroga sulla possibilità di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita da parte delle coppie omosessuali femminili.

In particolare è chiesto alla Corte di valutare se la normativa interna in materia, che riserva l’accesso alla PMA alle sole coppie formate da persone di sesso diverso, prevedendo anche un ingente corredo sanzionatorio in caso di violazione, sia rispettosa del principio di uguaglianza e del diritto al rispetto delle scelte di vita privata e familiare di cui all’art. 8 della CEDU.

La risposta della Corte è di segno negativo e muove dall’assunto, condiviso anche a livello europeo, che in una materia così delicata il bilanciamento tra gli interessi coinvolti spetta al legislatore, le cui scelte sono sindacabili dalla Consulta solo se viziate da irragionevolezza.

Una valutazione che la Corte esclude nel caso in esame, ritenendo che sia corretto disciplinare diversamente due realtà (coppie omosessuali e coppie eterosessuali) considerate tra loro ontologicamente diverse.

Aprile 2019. Dopo il decreto Salvini, Antonio Decaro, il presidente dell’associazione Anci, che raccoglie ottomila comuni italiani, rassicura le famiglie Arcobaleno: “Metteremo all’interno degli spazi prestampati i nomi già scritti all’anagrafe, ma non possiamo togliere la dicitura padre e madre”. Proprio come è accaduto a Laura, la prima donna iscritta come papà del bambino che ha partorito. Cresce la protesta, si annunciano ricorsi a pioggia contro un provvedimento giudicato discriminatorio.

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2018. In mancanza di un’adeguata legislazione che regoli la genitorialità delle coppie dello stesso sesso, dopo i giudici  decidono di attivarsi anche i sindaci.

Le coppie gay e lesbiche, quando pensano che siano stati violati i loro diritti fondamentali soprattutto in merito ai figli, continuano a rivolgersi ai tribunali, facendo leva sulla giurisprudenza internazionale nonché  sulla globalizzazione dei diritti portata dall’Unione europea, ma chiedono anche di essere tutelati dai sindaci, appellandosi ai loro poteri di «ufficiali dello stato civile», cioè di responsabili dell’anagrafe comunale. Si tratta di un ulteriore processo innovativo che riesce ad offrire ai bambini tutele sempre crescenti.

Il sindaco di Torino, Chiara Appendino, basandosi su un’interpretazione innovativa della legge 40/2004 sulla fecondazione assistita, riconosce, come genitori a pieno titolo, padri gay e madri lesbiche. Un esempio subito seguito da altre amministrazioni, tra cui Milano (ma solo per le madri), Bologna, Firenze e Napoli. Tre sentenze (a Pistoia, Bologna e Napoli) hanno confermato la linea del riconoscimento pieno delle coppie genitoriali gay e lesbiche, mentre alcune Procure l’hanno messa in dubbio. È successo, per esempio, sia a La Spezia, dove la Procura ha fatto ricorso contro una trascrizione decisa dal sindaco di Sarzana, sia a Belluno, dove la Procura ha fatto ricorso contro il sindaco di Mel per un riconoscimento alla nascita di due mamme. Infine, una sentenza del Tribunale di Trento ha disposto di aggiornare gli atti di nascita dei figli dopo il cambio di sesso del padre, così che risultino avere due madri.

Nonostante ciò, in pochi anni,  le garanzie nei confronti dei bambini sono andate via via crescendo e la giurisprudenza sta facendo un percorso costruttivo, decisione dopo decisione, anche se questo sta inevitabilmente producendo delle disomogeneità territoriali di trattamento, in base a quelle che sono le politiche locali. Sembra, tuttavia, evidente che ci sia una direzione comune: si va verso una parificazione dei bambini che hanno genitori dello stesso sesso a quelli che hanno genitori eterosessuali, attraverso il ricoscimento alla nascita dell’omogenitorialità. Ciò  perché, al di là del diritto delle coppie gay e lesbiche ad avere dei bambini, si sceglie di tutelare soprattutto il diritto dei figli a essere trattati come tutti gli altri.

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10 marzo 2017. Tribunale di Firenze. Per la prima volta in Italia, viene riconosciuta l’adozione di bambini, avvenuta all’estero, da parte di una coppia omogenitoriale, formata da due uomini, cittadini italiani ma residenti per anni nel Regno Unito. Il Tribunale di Firenze ha disposto la trascrizione anche in Italia dei provvedimenti emessi dalla Corte Britannica. Scavalcati il Parlamento e la Legge italiana: ai bambini viene così riconosciuto lo status di figli e la cittadinanza italiana.

A differenza di alcuni casi speciali in cui la cosiddetta “stepchild adoption” è stata concessa in Italia da alcune sentenze a coppie dello stesso sesso, in questo caso si tratta di una adozione vera e propria, così come comunemente intesa, un’adozione legittimante in cui due fratellini, che non avevano legami biologici con nessuno dei due padri, diventano a pieno titolo figli di entrambi. Un rapporto di filiazione in piena regola e, come tale, pienamente tutelato.

L’articolo 36, comma 4, della legge n. 184/83 (modificata nel 1999), prevede sia valida anche in Italia un’adozione avvenuta in Paese straniero da parte di cittadini italiani che dimostrino di avervi soggiornato continuativamente e di avervi la residenza da almeno due anni, purché essa sia conforme ai principi della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L’Aja il 29 maggio 1993.

I giudici fiorentini hanno sentenziato che la Convenzione non pone limiti allo status dei genitori adottivi, quindi essa non esclude le coppie gay né i single, ma richiede innanzitutto di verificare l’idoneità all’adozione da parte dei futuri genitori adottivi (esame effettuato, in questo caso, dal Tribunale britannico) e poi che la trascrizione non sia manifestatamente contraria all’ordine pubblico.

I giudici hanno rilevato che la contrarietà all’ordine pubblico “non è enucleabile esclusivamente sulla base dell’assetto ordinamentale interno, ma è da intendersi come complesso di principi ricavabili dalla nostra Costituzione e dai Trattati internazionali cui l’Italia ha aderito”.

In pratica, se la doppia paternità non è prevista dalle leggi italiane, non è solo per questo contraria all’ordine pubblico.

Infine, poiché bisogna sempre tutelare “l’interesse superiore del minore”, il mancato riconoscimento in Italia del rapporto di filiazione esistente nel Regno Unito, avrebbe determinato una “incertezza giuridica” che avrebbe pregiudicato l’identità personale del minore.

A questo punto, ancora più evidente e inammissibile è la situazione di disuguaglianza e discriminazione in cui versano tutte quelle famiglie omogenitoriali i cui figli sono nati in Italia.

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22 giugno 2016. La prima sezione civile della Corte di Cassazione  conferma  la possibilità, per il genitore non biologico nelle coppie omosessuali, di adottare i figli comuni.

La vicenda riguarda la sentenza del Tribunale di Roma datata 29 agosto 2014 (riportata nei precedenti aggiornamenti), primo caso di adozione cogenitoriale in Italia, che aveva garantito alla madre non biologica di una coppia lesbica la prima stepchild adotpion gay in Italia, cioè la possibilità di adottare, anche se in forma limitata, la bimba partorita dalla sua compagna.

(Intanto il Tribunale di Roma ha riconosciuto almeno un’altra decina di adozioni cogenitoriali e lo stesso ha fatto a fine maggio la Corte d’appello di Torino che ha concesso alle madri non biologiche di due coppie lesbiche la stepchild adoption dei bambini partoriti dalle rispettive partner (in un caso si tratta di un’adozione incrociata).

La sentenza del 29 agosto 2014  era stata  confermata dalla Corte d’Appello di Roma a dicembre 2015 ma la Procura di Roma si era opposta alla decisione dei giudici con argomentazioni molto dure.

La Cassazione respinge definitivamente quel ricorso contrario.

Nella sentenza i giudici scrivono, tra le altre cose, che la nascita della bimba «è frutto di un progetto genitoriale maturato e realizzato con la propria compagna di vita; la decisione di scegliere la più giovane ai fini della gravidanza è stata dettata dalle maggiori probabilità di successo delle procedure di procreazione medicalmente assistite» e che la bimba «ha vissuto sin dalla nascita con lei e la sua compagna, in un contesto familiare e di relazioni scolastiche e sociali analogo a quello delle altre bambine della sua età, nel quale sono presenti anche i nonni e alcuni familiari della ricorrente». I magistrati però escludono che questo progetto di «bigenitorialità» sia in conflitto di per sé con gli interessi della minore, come invece aveva sostenuto la Procura di Roma. E spiegano: «l’unica ragione posta a sostegno della denunciata incompatibilità di interessi è stata individuata nell’interesse della madre della minore al consolidamento giuridico del proprio progetto di vita relazionale e genitoriale». Ma accettare tale ragione significherebbe ritenere «che sia proprio la relazione sottostante (coppia omoaffettiva) ad essere potenzialmente contrastante, in re ipsa, con l’interesse del minore, incorrendo però in una inammissibile valutazione negativa fondata esclusivamente sull’orientamento sessuale della madre della minore e della richiedente l’adozione, di natura discriminatoria e comunque priva di qualsiasi allegazione e fondamento probatorio specifico». Più volte la Corte di Cassazione sottolinea inoltre la preminenza dell’interesse del minore rispetto a qualsiasi altro interesse dello Stato, e spiega che in questo caso consiste nell’avere un legame giuridico a tutela del legame affettivo che lo lega dalla nascita con il secondo genitore sociale.

I giudici hanno applicato l’articolo 44, comma 1, lettera d della legge n. 184 del 1983 e successive modifiche, che regola l’adozione in casi particolari. È lo stesso istituto che è stato eliminato dalla legge Cirinnà sulle unioni civili a causa della contrarietà di un fronte trasversale di cattolici, sia nelle file della maggioranza che dell’opposizione, ma che di fatto veniva già garantito dai tribunali. L’adozione in casi particolari, secondo l’interpretazione contraria, limita moltissimo diritti e doveri dei genitori e dei bambini. In particolare con questo tipo di adozione il bambino non acquista la parentela da parte del secondo genitore, diventa cioè figlio del genitore sociale (in questo caso la seconda mamma che non l’ha partorito), ma non entra nella linea familiare. Non vede quindi riconosciuti  né i fratelli, né i nonni, né gli zii, né eventuali cugini dalla parte del genitore sociale, e ha comunque meno diritti di un bambino nato da una coppia eterosessuale.

Ma se si pensa che, fino a poco tempo fa, sia a questi bambini nati da coppie omogenitoriali sia al genitore non biologico, non era riconosciuto nessun diritto, di sicuro  questa legge rappresenta un importante strumento di  garanzia all’interno di una società civile e democratica e questa sentenza della Corte di Cassazione rappresenta un importante traguardo.

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 Corte di appello di Torino-sezione famiglia-decreto del 29-10-2014.

I fatti in sintesi.

Due donne, una italiana e una spagnola, sposate a Barcellona, diventano mamme per mezzo dell’inseminazione assistita eterologa. In particolare la madre italiana ha donato gli ovuli per il concepimento mentre la madre spagnola ha portato avanti la gravidanza e il parto. Le due donne successivamente si separano e, quindi, nasce l’esigenza materna di tutelare meglio il minore, cittadino spagnolo, facendolo riconoscere anche come cittadino italiano: a tal fine, presentano domanda di trascrizione dell’atto di nascita del loro bambino presso l’anagrafe italiana.

L’istanza viene, inizialmente, respinta  dagli Uffici e, poi, anche dal Giudice di primo grado, per la asserita “contrarietà dell’atto all’ordine pubblico italiano, poiché il nostro ordinamento riconosce esclusivamente come madre la donna che ha partorito”.

Le due co-madri –  definite dal medesimo comune spagnolo “ madre A” e “madre B” – non si arrendono e presentano richiesta alla corte di appello di Torino di trascrivere presso l’ anagrafe italiana  la nascita del loro bambino.

La sentenza.

Per la prima volta in Italia una istanza di questo tipo viene accolta!

La mancata trascrizione dell’atto di nascita avrebbe, infatti, compresso  il diritto all’identità personale del minore, nonché il suo status di cittadino italiano. Inoltre, poiché le due donne hanno divorziato, la mancata trascrizione avrebbe comportato conseguenze pratiche in merito alla libera circolazione del minore.

La sentenza conclude affermando che il compito del giudice è quello di rendere effettivi i diritti previsti dalla legge e nel caso concreto non si può affermare che il miglior interesse del minore sia privarlo di un legame attraverso il quale si esprime il diritto al proprio status di figlio.

Il commento.

In merito alle accuse di insostenibilità della sentenza e di “ricorrente  creatività”,  rivolte contro l’autorità giudiziaria, ritengo che, in attesa di urgenti e necessarie leggi che vadano a legittimare e regolamentare questa realtà italiana rappresentata dalle famiglie omogenitoriali, vadano apprezzati il buon senso, il rispetto etico verso le persone e la “creatività costruttiva”, cioè nel pieno rispetto del quadro complessivo delle norme internazionali e costituzionali, ed in particolare della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, da parte di  alcuni illuminati e coscienziosi magistrati, costretti a porre rimedio alle gravi lacune normative delle nostre leggi in materia di diritto di famiglia e di tutela del minore.

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29 agosto 2014. Il Tribunale dei minorenni di Roma, per la prima volta in Italia, ha riconosciuto a una bambina il diritto a essere adottata dalla propria mamma non biologica (“mamma sociale”) e a prendere il doppio cognome. Tecnicamente, quella autorizzata dal Tribunale è una «stepchild adoption», un modello già sperimentato da anni all’estero (in Danimarca da venti): il Tribunale ha accolto il ricorso della coppia, consentendo l’adozione della bimba da parte della sola mamma sociale. Lo ha fatto nonostante il parere negativo del pm.
La sentenza non è piovuta dall’alto, ma è la conclusione di un lungo iter in cui la coppia ha dovuto superare tante prove per dimostrare la propria capacità di essere genitori.
«Siamo felici, quasi incredule, di questo risultato che era atteso da anni e che rappresenta una vittoria dei bambini» hanno fatto sapere le madri attraverso la loro legale.

«È una vittoria di tutti quei minori che si trovano nella stessa situazione della nostra bimba. Speriamo che questa sentenza possa aiutarli; suggeriamo alle tante altre coppie omogenitoriali di uscire allo scoperto».

Uno Stato civile ha il compito di rispondere ai diritti (sia di natura reale, come il diritto alla successione ereditaria o al mantenimento, sia soprattutto di natura affettiva da parte di entrambi i genitori, a prescindere dagli aspetti biologici) delle centinaia di migliaia di figli di coppie omogenitoriali in Italia, diritti che diventano doveri per entrambi i genitori – per il genitore biologico e per il genitore adottivo – sia nei confronti dei figli che tra di loro in quanto congiuntamente responsabili della corretta parentalità.

Al di là del dibattito politico sul valore costituzionale della sentenza e sui confini tra potere della magistrato e potere del legislatore, questa sentenza rappresenta sicuramente una svolta importantissima nella storia italiana dei diritti umani, che ne avvia l’iter di allineamento a quelli riconosciuti già da anni nei Paesi occidentali più all’avanguardia sul tema.

 

 

 

 

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