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Campane Tibetane

Sono numerose le ricerche scientifiche che hanno dimostrato e confermato come l’ascolto di un certo tipo di musica abbia effetti positivi sul nostro benessere psicofisico.

Attraverso le attuali strumentazioni scientifiche, infatti, si è visto quanto il suono incida a livello molecolare, andando a ristrutturare tutto il sistema bioenergetico e fisico dell’essere umano.

Nelle culture orientali, molto più attente di quelle occidentali al ben-essere olistico della persona, c’è un’antichissima tradizione del suono utilizzato come strumento di cura e guarigione. I monaci tibetani, da sempre, usano le campane: si tratta di ciotole costituite da 7 metalli (argento, ferro, mercurio, stagno, rame, piombo, oro), e non è un caso che siano 7 come le note musicali e i principali chakra del corpo umano. Le ciotole vengono toccate e fatte vibrare con un piccolo batacchio ed emettono dei suoni che creano dei campi di risonanza e delle frequenze che, diffondendosi nell’aria, generano una straordinaria armonia.

Vi sono vari modi di utilizzarle e la scelta è dettata da quelli che sono i bisogni psicofisici della persona da trattare. Uno dei modi è quello di posizionare le campane sui diversi punti del corpo che corrispondono ai chakra su cui lavorare. Il suono arriva ai diversi organi non solo attraverso il canale uditivo ma anche attraverso le vibrazioni emesse in onde nel momento in cui vengono suonate. Queste vibrazioni sonore, al pari della recitazione di un mantra o dell’ascolto di una musica piacevole, interagiscono con la psiche e sul corpo, generando uno stato di rilassatezza e abbandono. In questo status le campane hanno anche il potere di produrre, sul corpo, sulla pelle e sugli organi, un vero e proprio massaggio vibrazionale generato dalle onde sonore. Le tensioni emotive svaniscono e, addirittura, le cellule malate, quelle con una struttura molecolare deformata e irregolare, possono essere stimolate a ripristinare una struttura regolare e armonica.

E’ per questo che la tecnica delle campane tibetane può rappresentare una valida pratica psicosomatica per coadiuvare e completare percorsi medici e farmacologici che, sia pure indispensabili per la cura delle malattie, rischiano, da soli, di trascurare la guarigione della persona in senso olistico quella che innesca meccanismi di consapevolezza, del proprio corpo e delle proprie emozioni, di autoregolamentazione e autoguarigione.

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